Genesi dell’indice dei libri proibiti

Il primo tentativo di controllo sulle letture dei fedeli risale al Concilio di Nicea nel 325, durante il quale erano state individuate e proibite alcune opere, come quelle del greco Origene di Alessandria.

In seguito alla diffusione della stampa, Papa Innocenzo VIIl nel 1487 si espresse sulla necessità di arginare la diffusione di libri nocivi alla fede o scandalosi; il papa prevedeva un esame obbligatorio da parte della Chiesa di tutte le opere destinate alla pubblicazione, la concessione esplicita del permesso di stampa (imprimatur), la distruzione dei libri non autorizzati e pene per autori, editori e lettori. Fu però Paolo IV a promulgare un elenco vero e proprio il 30 dicembre 1558, redatto dai membri dell’Inquisizione.

indice dei libri proibiti

Il decreto paolino diceva: “Che nessuno osi ancora scrivere, pubblicare, stampare o far stampare, vendere, comprare, dare in prestito, in dono o con qualsiasi altro pretesto, ricevere, tenere con sé, conservare o far conservare qualsiasi dei libri scritti e elencati in questo Indice del Sant’Uffizio”.

Nel 1571 Pio V istituì la Congregazione dell’Indice, che ne curò più di 40 edizioni, finché venne soppressa nel 1917 e le sue competenze passarono al Sant’Uffizio. Dovremo aspettare il 4 febbraio 1966, quando l‘Indice dei libri proibiti venne definitivamente abolito da Paolo VI, in seguito al Concilio Vaticano II.

Vade retro, Dante!

Al suo interno figuravano opere di Boccaccio, Niccolò Macchiavelli, Keplero, Galileo Galilei, Cartesio, Spinoza, Vittorio Alfieri, Giacomo Leopardi e, in tempi più recenti, autori del calibro di Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir e Alberto Moravia. Persino Dante Alighieri era presente con il suo trattato “De monarchia”, mentre il “Mein Kampf” di Adolf Hitler non fu mai inserito.

L'indice dei libri proibiti

Durante gli anni più aspri dell’Inquisizione, anche solo il possesso di uno dei libri inclusi nell’Indice era considerato una prova contro un imputato di eresia. Per oltre 400 anni, dunque, testi scientifici, letterari, economici e filosofici vennero considerati un peccato punibile con la scomunica, fino alla condanna a morte.