Bandito dalla Gran Bretagna per oltre due decenni e vietato ai minori di diciotto anni in molti paesi del mondo (tra cui l’Italia), è uno dei massimi e irraggiungibili capolavori del cinema dell’orrore, diretto nel 1974 da Tobe Hooper.
Ci prepariamo a scoprire l’edizione UHD (4K + Blu-ray) e quella DVD di Non aprite quella porta in una limited edition da collezione distribuita da Koch Media in collaborazione con Cult Media, all’interno della collana Midnight Classics: il grande ritorno sugli schermi casalinghi della motosega più spaventosa della Settima arte, diventata protagonista di una saga che sembra non avere fine…

Non aprite quella porta (1974)

Un titolo italiano che ha fatto storia più di quello originale The Texas chainsaw massacre (letteralmente “Il massacro della motosega texana”), al servizio di una vicenda che la didascalia di apertura informa essere il resoconto di una tragedia realmente accaduta.
Vicenda, in realtà, totalmente inventata, in quanto l’unica vera fonte d’ispirazione fu la figura del contadino necrofilo e cannibale Ed Gein che, a quanto pare dedito alla realizzazione di maschere di pelle e oggetti vari sfruttando i resti delle proprie vittime, fu anche il punto di riferimento di sir Alfred Hitchcock per concepire il Norman Bates del suo Psycho.
L’Ed Gein che Hooper trasforma nell’imponente Leatherface (interpretato da Gunnar Hansen), ritardato in abbigliamento da macellaio e, appunto, maschera in pelle umana sul volto che, armato di sega a motore, fa parte della temibile famiglia di mangiatori di carne umana in cui s’imbattono la giovane Sally, suo fratello paralitico e tre amici in viaggio con loro a bordo di un furgone.
Il resto, tra martellate in pieno cranio, ganci conficcati nella schiena e la sequenza in cui il malandatissimo nonno della combriccola di folli cerca di spaccare la testa alla protagonista prima della cena, è storia della Settima arte di paura.
Perché, con gli orrori rappresentati atti, in un certo senso, a rivelarsi quasi una proiezione di quelli contemporanei della guerra del Vietnam, stiamo parlando del lungometraggio che, disturbante senza ricorrere ad eccessi splatter, insieme a La notte dei morti viventi di George A. Romero, L’ultima casa a sinistra di Wes Craven e Halloween – La notte delle streghe di John Carpenter ha tracciato la strada per l’horror moderno su celluloide.

Non aprite quella porta parte 2 (1986)

Nuovamente dietro la macchina da presa. Tobe Hooper catapulta Leatherface (stavolta interpretato da Bill Johnson), nonno e fratelli (il Chop-Top di Bill Moseley e il Cook di Jim Siedow) negli anni Ottanta reaganiani, tra coppia di yuppies da massacrare immediatamente in apertura e commercio di carne umana all’insegna della evidente critica al capitalismo.
E, individuando il nuovo rifugio in un antico forte abbandonato, non possono fare a meno di incarnare la vecchia America adombrata dallo sfrenato progresso tecnologico; man mano che prendono di mira una giovane disc jockey nella stazione radio in cui lavora e che a fronteggiarli provvede un ranger dalle fattezze di Dennis Hopper, il quale a quanto pare, ha un vecchio conto da chiudere.
Memorabile il look di Faccia di pelle qui in giacca e cravatta, come pure gli ottimi effetti splatter a cura dell’infallibile Tom Savini; mentre il tutto appare visivamente accattivante e, a differenza del capostipite, viene tirata in ballo una spruzzata di grottesca ironia.

Non aprite quella porta parte 3 (1990)

Fratello e sorella in viaggio s’imbattono in un folle benzinaio che poi scopriamo appartenere alla famiglia di Leatherface (sotto la cui maschera abbiamo qui R.A. Mihailoff), prima che ad aiutarli provveda un esperto di armi interpretato da Ken”Zombi”Foree.
Una famiglia tutta nuova comprendente, nel mucchio, una mamma, una ragazzina che è solita giocare con scheletri di neonati e un Viggo Mortensen degli esordi; al servizio di un terzo capitolo che, diretto dal Jeff Burr autore de Il villaggio delle streghe e conosciuto anche con il titolo Leatherface – Non aprite quella porta III, pone totalmente in secondo piano i consueti sottotesti socio-politici per concentrarsi sull’intrattenimento tipico della serialità horror degli appena conclusi anni Ottanta.
E ciò si rivela tutt’altro che un male, perché, con efficace colonna sonora thrash metal ad infarcire il tutto, stiamo parlando di uno dei più riusciti tasselli della serie, nonché quello che maggiormente ha influenzato, in maniera evidente, il remake del capostipite, firmato nel 2003 da Marcus Nispel.
Nota curiosa: in Italia il film approdò direttamente in home video nell’autunno del 1994, ma nell’estate del 1991 fece già la sua apparizione nelle sale italiane un Non aprite quella porta 3 che, concepito da Claudio Fragasso sotto pseudonimo Clyde Anderson, non aveva ovviamente nulla a che vedere con le vicende di Leatherface e compagni, incentrato in maniera maldestra su una sorta di Freddy Krueger made in Italy.

Non aprite quella porta 4 (1994)

Produttore associato e co-sceneggiatore del capostipite hooperiano, Kim Henkel passa dietro la macchina da presa per mettere in piedi un quarto episodio pensato, in realtà, come diretto sequel del primo.
Non a caso, gli interpreti originali Marilyn Burns, Paul A. Partain e John Dugan sono coinvolti in brevi apparizioni in un insieme che, con protagonista una Renée Zellweger degli esordi, si concentra su quattro ragazzi di ritorno da un ballo scolastico e destinati a finire in casa di Leatherface (il compianto Robert Jacks) e famiglia dopo un incidente automobilistico.
Famiglia comprendente, tra gli altri, il meccanico con gamba elettrica Vilmer, incarnato da un giovane Matthew McConaughey, e i cui componenti, curiosamente, non manifestano più appetito cannibale.
Nel corso di quello che, però, finisce per rivelarsi una sorta di scialbo remake della pellicola del 1974, della quale ripropone senza fantasia diversi dei momenti salienti aggiornando la critica sociale, stavolta, all’ossessione per l’estetica e le apparenze.

Non aprite quella porta (2003)

Sotto la produzione di Michael Bay e la regia del Marcus Nispel poi occupatosi del reboot di Venerdì 13, una ancora sconosciuta Jessica Biel è la protagonista di questo rifacimento piuttosto fedele alla pellicola originale, dalla quale, a partire dall’assenza del robusto paralitico, differisce per pochi aspetti.
In questo caso, anziché l’autostoppista fratello di Leatherface (qui Andrew Bryniarski), è una giovane sfuggita alla combriccola di pazzi ad essere caricata sul furgone dai ragazzi destinati, ovviamente, a finire nella casa dei massacri.
E, con R. Lee Ermey (il sergente Hartman di Full metal jacket) nei panni di uno sceriffo, i circa cento minuti di visione forniscono una efficace rilettura spettacolare del film di Hooper, lasciando tutt’altro che a desiderare per quanto riguarda lo splatter e senza dimenticare l’attacco alle istituzioni.

Non aprite quella porta – L’inizio (2006)

Sotto la regia di Jonathan Liebesman andiamo a conoscere i retroscena legati alla figura di Leatherface (di nuovo Bryniarski) e apprendiamo che, abbandonato in un cassonetto della spazzatura da neonato, è stato recuperato e adottato dalla consueta, folle famiglia.
L’anno d’ambientazione è, stavolta, il 1969 e i protagonisti sono due fratelli prossimi all’arruolamento in Vietnam e che, di conseguenza, si concedono un’ultima vacanza in Texas insieme alle rispettive fidanzate, senza immaginare quale atroce destino li aspetti.
Al fianco di Sheldon Turner, in sceneggiatura abbiamo il David J. Schow che già si occupò dello script del terzo capitolo della serie originale, e bisogna dire che ci troviamo dinanzi ad uno degli appuntamenti più riusciti del franchise, con la sempre più scoperta critica sociale relativa a ciò che ha spinto Faccia di pelle e famiglia a divorare la società che non li accetta e disturbante sadismo stemperato da un pizzico di grottesca ironia.
Per non parlare dell’affascinante epilogo aperto.

Non aprite quella porta 3D (2013)

Autore di Takers, John Lussenhop ignora del tutto la saga nata dal film di Hooper e si ricollega direttamente al finale di quel capostipite, rivelando che la sadica combriccola di cannibali venne eliminata dalla popolazione locale dopo la carneficina a cui sopravvisse Sally Hardesty e mostrando una Alexandra Daddario che, facente inconsapevolmente parte del nucleo perché portata allora in salvo quando era ancora in fasce, eredita una villa vittoriana in Texas dove si reca affiancata da tre amici e un autostoppista.
Ma, se Leatherface (stavolta Dan Yeager), ovviamente ancora a piede libero, è pronto a tornare all’opera tra ganci per la carne, martelloni e immancabile motosega (quindi, senza troppa fantasia negli omicidi), gli sceneggiatori – tra cui l’Adam Marcus regista di Jason va all’inferno – scivolano su diverse incongruenze e inaccettabili forzature, a partire dal fatto che, essendo trascorsi circa quarant’anni dal massacro iniziale, non è possibile che la protagonista sia una poco più che ventenne.
Non rimane, quindi, che guardarsi gli schizzi di sangue e la lama vibrane della sega in 3D, neppure tanto esaltante.

Leatherface (2017)

Prequel del capostipite hooperiano e di Non aprite quella porta 3D, non tiene conto di Non aprite quella porta – L’inizio e, dopo un tragico fatto ambientato nel Texas del 1955, si sposta a dieci anni più tardi per raccontare la storia del tutto inedita dell’adolescenza di Leatherface, facente parte di un gruppetto di giovani squilibrati che rapisce un’infermiera nella fuga da un ospedale psichiatrico.
A dargli la caccia, un altrettanto squilibrato sceriffo dal grilletto facile interpretato da Stephen Dorff; mentre, dietro la macchina da presa, i francesi Julien Maury e Alexandre Bustillo – autori dell’ottimo Inside – À l’intérieur – miscelano sapientemente eccessi sanguinolenti e atmosfera di follia tipica di determinati horror d’oltralpe, giostrando a dovere un plot diverso dal solito (una volta tanto, non abbiamo i consueti ragazzi in vacanza da trucidare) e che non manca affatto di efficaci colpi bassi (compresa una raccapricciante sequenza di necrofilia).
Senza dubbio, il tassello più gore dell’intera serie.

Non aprite quella porta, il primo, storico capitolo della saga, vi aspetta in limited edition da collezione UHD (4K + Blu-ray) e DVD.