A cura di Manlio Gomarasca 

È appena uscito per Midnight Classics il cofanetto Troll 1 & 2. Un’occasione unica per scoprire il cinema anni ’80 amato e rivalutato nella serie di culto Stranger Things. Attraverso questi due film, uno americano ma girato in Italia e l’altro italiano ma girato in America, è possibile scoprire la storia di un sistema produttivo che è già di per sé leggenda e constatare come nel gioco degli estremi che si toccano i concetti di bello e brutto si ribaltano e confondono piacevolmente.

IL MITO DELL’EMPIRE

All’epoca, il 1985, Charles Band, americano, figlio d’arte, regista, produttore, ambizioso, megalomane, affarista nato, aveva fiutato il business del nascente mercato home video. Aveva cioè capito che le videocassette avrebbero potuto da sole supportare i costi della produzione di un film. Non che lui volesse fare a meno della sala, intendiamoci, ma il non essere più vincolato al box office gli dava serenità.

Pensò che poteva fare tutto da solo, controllare l’intera filiera della produzione e della distribuzione. Tutto, dalle musiche (spesso realizzate dal fratello Richard) alle brochure per le vendite internazionali. Brochure che coi loro colori sparati e i disegni ammiccanti fungevano da specchietto per le allodole per i compratori stranieri. Il cinema (o almeno un certo tipo di cinema) all’epoca lo si faceva così: con un disegno, un titolo e una promessa. Promessa che raramente veniva mantenuta, ma poco importava perché a quel punto il film era già stato prevenduto e con quei soldi finanziato.

Fu così che l’Empire Pictures, la società di Band, cominciò la produzione in serie: The Alchemist (1983), Il demone delle galassie infernali (1984), Il ritorno del samurai (1984), Trancers – Corsa nel tempo (1984), Ghoulies (1985), Re-Animator (1985), Savage Island (1985), Underworld (1985), Alien – Zona di guerra (1985), Breeders (1986), Strascia ragazza striscia (1986), Dreamaniac – Sogno maniacale (1986), From Beyond – Terrore dall’ignoto (1986), Necropolis – La città della morte (1986), I robot conquistano il mondo (1986), Troll (1986), Terror Vision – Visioni del terrore (1986), Creepozoids (1987), Dolls – Bambole (1987), La morte avrà i suoi occhi (1987), Pleasure Planet (1987), Zona pericolosa (1987), Prison (1987), Tragica notte al Bowling (1988), Catacombs – La prigione del diavolo (1988), Ork (1988), La città maledetta (1988), Ghoulies II (1988).

Tanti, troppi film nell’arco di pochi anni, ma molti meno rispetto a quelli annunciati e mai realizzati. Tra questi ci furono anche grandi e inaspettati successi al box office americano come Ghoulies e Troll e la scoperta di autori che avrebbero fatto la differenza dentro e fuori al genere horror come il futuro regista di Cliffhanger, Renny Harlin (Prison), e il duo Stuart Gordon e Brian Yuzna responsabile della serie cult Re-Animator.

ITALIA TERRA DI CONQUISTA

Da sempre legato all’Italia per motivi famigliari e di interesse, Band si sentì talmente potente e intraprendente da creare il suo quartiere generale in uno dei borghi più dell’Umbria, il Castello di Giove. Il castello sarebbe stato il luogo ideale per costruire i set delle sue storie gotiche ma da solo non bastava e così Band fece un “piccolo” sforzo economico, circa 20.000.000 di dollari, per comprarsi pure gli studi sulla Pontina che un tempo furono di Dino De Laurentiis e per ciò chiamati Dinocittà. Nascevano gli Empire Studios.

Ma chi glieli dava tutti quei soldi? Ma naturalmente l’ente che per molto tempo in quegli anni era preposto da politici e imprenditori franco-italiani a foraggiare gli intrallazzi cinematografici tra Europa e Stati Uniti: il Crédit Lyonnais. Quello stesso Crédit Lyonnais che avrebbe permesso all’ex cameriere di Orvieto Giancarlo Paretti di comprarsi la Metro Goldwyn Mayer. Ma questa è un’altra storia.

Intanto Band tra Giove e la Pontina creava il suo “impero” dando lavoro a tanti tecnici del cinema italiano che in quegli anni cominciavano a sentire gli effetti devastanti della crisi. Tra questi anche nomi di spicco come i direttori della fotografia Romano Albani, Sergio Salvati e Daniele Nannuzzi, lo scenografico Giovanni Natalucci e il compositore Pino Donaggio. Sotto di loro nei vari reparti c’era quasi solo personale italiano, al di sopra invece erano tutti americani. Americani i registi e americani gli attori. E non poteva essere altrimenti se si voleva vendere il film in tutto il mondo.

TRA FANTASY E HORROR

Quello che il mercato chiedeva l’Empire Pictures lo dava. Il dilagare delle videocassette aveva generato una richiesta sempre più pressante di film di intrattenimento. Sottoprodotti dei grandi successi cinematografici che potevano essere fruiti senza impegno e con scarsa attenzione a casa in poltrona.

Come per le brochure anche le cover delle videocassette diventavano strumento fondamentale per acchiappare l’allocco di turno nei video club e in questo l’Empire ci sapeva fare; sapeva cioè esattamente su quali disegni puntare. Disegni che spesso cercavano di riassumere in un unico soggetto tutte le suggestioni che un possibile cliente del genere poteva cercare: sangue, mondi fantastici, un pizzico di malizia sessuale. Inevitabilmente l’immagine che ne scaturiva finiva per influenzare anche il prodotto finito e cioè Il film.

Grazie a questo ingenuo ma efficace sistema di produzione si è potuto assistere alla nascita di pellicole folli e immaginifiche come Troll di John Carl Buechler dove creature fantastiche, stregoneria, morti ammazzati e qualche nudo bucolico convivevano amabilmente in un frullatone di bizzarre intuizioni. Fu subito culto. Così come lo furono parecchie pellicole prodotte da Band all’epoca.

Ma il sogno durò poco. Alla fine degli anni ’80 per colpa di una perversa logica finanziaria il povero Charles Band sommerso dai debiti fu costretto dal Crédit Lyonnais a cedere la Empire Pictures alla Epic Entertainment di Eduard Sarlui, che vantava nei confronti della banca debiti ancora maggiori. Era solo un espediente per spostare il debito non per recuperarlo. La banca francese avrebbe fatto questo giochetto delle tre carte anche in seguito con la Cannon Films di Golan e Globus ma a quel punto Charles Band aveva già fondato una nuova società, la Full Moon, e iniziato una nuova avventura.

IL FILM PIÙ BRUTTO DEL MONDO

E così Sarlui si trovò proprietario degli Empire Studios che erano ancora pieni di costruzioni e oggetti di scena che appartenevano a Charles Band. Quale occasione migliore per risparmiare su location e costumi?

All’epoca Sarlui lavorava in Italia con la Filmirage di Aristide Massaccesi e Donatella Donati. Nel senso che Sarlui finanziava i film che la Filmirage produceva, ma dal punto di vista creativo lasciava ai soci italiani tutta la libertà del mondo, salvo l’obbligo di seguire le direttive imposte dalle vendite internazionali realizzate da sua moglie di Helen.

Ad esempio Troll era stato venduto molto bene nel mondo e quindi sarebbe stato logico fare un Troll 2. Massaccesi era d’accordo. Lui il film non l’aveva visto ma gli piaceva la maschera del Troll che aveva trovato agli Empire Studios e così chiese all’effettista Maurizio Trani di farne una uguale.

Trani la fece e la fece parecchio male; ma non importava tanto il film bisognava farlo comunque e bisognava farlo nello Utah. Massaccesi aveva in mente anche il regista giusto, Claudio Fragasso, e la sceneggiatrice giusta, la moglie di Fragasso. Il resto è storia.

Il film uscì direttamente in VHS ovunque nel mondo e fu una strepitosa catastrofe. In molti lo definirono il film più brutto del mondo. Sui siti di cinema vantava punteggi di gradimento che variavano tra l 1.2% e lo 0%. Divenne un cult internazionale la cui fama appannò persino quella del primo capitolo. Un’esperienza unica. Da vedere con le lacrime agli occhi. La sublimazione del brutto che diventa bello come ha ben documentato il documentario Best Worst Movie contenuto nella special edition realizzata da Midnight Classics.